Ubaga deve il suo nome alla marginalità, all'isolamento e ai folti boschi che ricoprono il suo territorio. Come il soleggiato poggio di Perinaldo ha espresso l'amore per le stelle, le boscose terre della piccola Ubaga hanno generato le tradizioni ispirate alle antiche feste della natura, pagane e cristiane, legate al ciclo della vita e delle stagioni: riti di morte e rinascita, forze del male opposte a forze del bene. Tutto ciò si è concretizzato alcuni anni or sono nelle Maschere d'Ubaga. Opere d'arte, un tempo depositate in Villa Faraggiana ad Albisola, che sono ora parte del Museo del Territorio della Valle Arroscia.

La spiritualità delle popolazioni montane ben si esprime nella tragedia della Passione di Cristo, come dimostra l'adesione ai riti della Settimana Santa. Ne abbiamo testimonianza a Gavenola dove, oltre agli uomini che trasportano i gruppi processionali del Maragliano, partecipano anche i bambini, le Milizie Celesti, indossando preziosi abiti settecenteschi gelosamente e accuratamente conservati.

Ubages

Franco Dante Tiglio descrive nella sua tipologia “Le maschere di Ubaga” il territorio dell’ubàgu così:

Nell'antichissimo idioma ligure "ubàgu" designava località fredde e selvagge, impervie e boscose, poste a settentrione.

Tali, in effetti, sono le caratteristiche della fiancata orografica destra della Valle Arroscia, scoscesa e aspramente corrugata, nei cui recessi sorsero, intorno al centro di Ubaga, i villaggi di Costa di Ubaga, Ubaghetta e Montecalvo, che facevano parte dell'antico Comune, insieme a varie frazioni, denominate Canavai, Casarix, Casarioli e Bandie, da tempo scomparse e inghiottite dalla boscaglia. Alle spalle di Ubaga, sulla dorsale che dal monte Mucchio di pietre (m. 770) raggiunge il monte Riondo (m.776), separando la Valle Arroscia dalla Val Lerrone, sorge una aguzza elevazione (m.820), che la popolazione locale ha sempre chiamato "Castello/Torre di Ubaga", poiché sulla sua sommità sorgeva un castellare preistorico, distrutto nel 202 a.C. dal console romano Appio Claudio, nel corso della prima campagna contro i liguri Ingauni.

Almeno fino alla metà del XX secolo ad Ubaga si aveva l’impressione di vivere in un ambiente fuori dal tempo, isolato dal resto del mondo, geloso custode di una cultura, di costumi e di tradizioni le cui remote radici affondavano nel substrato etnico-culturale di quelle primitive tribù liguri che per circa due millenni avevano dato vita al famoso culto del monte Bego. Era evidente che i rudi abitanti di Ubaga erano i diretti discendenti di quei gruppi di pastori-cacciatori che in età neo o eneolitica avevano colonizzato tutto il selvoso e scosceso versante settentrionale della catena divisoria fra la Valle Arroscia e la Val Lerrone.

Le difficoltà create da una Natura eccessivamente accidentata e dirupata, con vallette anguste, profondamente incise, scarsamente soleggiate; un terreno arido e magro, che mostrava più lo scheletro che la polpa; la colossale opera di disboscamento delle foreste e l'immane fatica per strappare esili lingue di terra coltivabile a pendii troppo ripidi, sempre pronti a sgretolarsi a valle per la violenta azione delle acque, avevano forgiato negli abitanti, per contrappunto, un temperamento duro, tenace, caparbio, abituato alla fatica e al sacrificio, a contare soltanto sulle proprie forze, sprezzante degli agi, frugale, sagace ed ingegnoso, ma anche chiuso, rigido, poco incline ai cambiamenti e quindi profondamente conservatore nei costumi e nelle idee, una mentalità conservatrice, ostile alle novità.

e riassume:

“Il toponimo “Ubàgu” appartiene all’antichissimo idioma ligure e indica una località posta a settentrione, tetra e selvosa, scarsamente soleggiata, qual è appunto il versante orografico destro dell’Alta Valle Arroscia, fortemente incisa e corrugata, selvaggia e scoscesa, nei cui recessi sorgono i villaggi di Ubaga, Ubaghetta, Costa di Ubaga, Montecalvo, Case Sottane nonché i ruderi di altre antiche borgate, oggi scomparse ed inghiottite dalla risorta boscaglia.”.